Vi siete mai chiesti cosa può ferire più di ogni cosa un soccorritore?

Ore indecifrate di un pomeriggio. E’ domenica… una domenica qualunque. Vito e io siamo in camerata. Operativi. In servizio di prima partenza. Non sappiamo fra quanto, ma a breve la campana suonerà. Fuori caldo torrido, sembra estate. Due merli si posano su un albero. Cantano, ballano, fanno l’amore. Fra un attimo la campana suonerà e questa domenica, questa domenica qualunque terminerà. Un suono alternato simile al triplice fischio finale di una partita di calcio sancirà la fine del turno. Non ricordo di cosa stessimo parlando: agricoltura, cellulari, Mauro Corona, libri, le nostre mogli o le rotoballe di fieno che sono tanto romantiche in questo periodo, ma a un certo punto suona la campana. Un suono lungo e intenso, molto diverso da quello ritmico e cadenzato che ci aspettavamo: <<Driiiiinnnnnnn… Attenzione Prima partenza…>>

“Vito, niente casa. Dobbiamo uscire!”

“Lo so, ho sentito.”

“Avvisiamo le ragazze, mi sa che faremo tardi!”.

In un baleno ci troviamo nelle autorimesse. Carichiamo le borse d’intervento e ci dividiamo su due mezzi per rispettare le distanze di sicurezza. Cinture allacciate e si va.

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Ore indecifrate di una sera. E’ domenica. Il sole sta calando. Fuori dal finestrino la pianura e le nuvole si contendono il nostro passaggio. La sirena del camion ci scorta lungo il percorso. Ci stiamo dirigendo verso il fiume Sesia. Stiamo intervenendo per un salvataggio. Qualcuno ha bisogno di noi. Fuori tutto scorre veloce, come le immagini dello scenario nella mia testa. Mi piace nuotare. L’acqua è il mio ambiente preferito. Mi sento a mio agio. Sin da quando ero bambino adoravo stare in acqua: con mio padre andavo spesso a pescare con il canotto in mare aperto. Credo di poter esser utile alla buona riuscita dell’operazione. Credo di poter essere utile… ma eccoci arrivati. Vito ferma il camion. Tutta la squadra scende dagli automezzi. Un breve sguardo e sappiamo già cosa fare. Eccitati come delle molle ci carichiamo il gommone sulle spalle. Il nostro obiettivo è poco più in basso. Dobbiamo fare in fretta! Il Sesia scorre. Veloce. Imperturbabile nella sua bellezza. Glaciale nei suoi colori. Trasparente come se fosse mare. Pochi passi e siamo sulla riva. Tanta gente intorno a noi. Tante divise. Tanti colori. Tanta tensione. Indosso il giubbotto salvagente e, al mio fianco, Vito fa lo stesso. Poi, a un tratto sentiamo gridare. Qualcuno chiede il nostro aiuto. Qualcuno ci chiama. E noi siamo proprio lì per quello: per aiutare.

<<Siamo qua. Siamo qua. Pompieri, pompieri veniteci a salvare!>>.

Tiro su le cerniere delle scarpette e indosso il caschetto. Vito mi passa i remi e il mezzo marinaio. E poi… Boom… boom, salgo sul gommone. Boom… boom, lo fa anche lui.

Il Sesia sembra fermo, ma è vivo. Incominciamo a remare. I colleghi lasciano lentamente la fune e noi iniziamo a muoverci. Poco più avanti ci sono due ragazzi. Forse a dieci o a venti metri da noi. Il Sesia si muove sotto di noi. Sembra fermo, ma è vivo. Ha un’anima e un cuore che pulsa. I ragazzi si sbracciano. Dobbiamo fare in fretta prima che anneghino. A questo punto mi viene in mente mio padre: lui e io sul canotto a pescare. Anche se avessimo imbarcato acqua e fossimo affondati, non avrei avuto paura. Lui mi avrebbe salvato. Avremmo nuotato insieme fino a riva. Adesso siamo sempre in due… ma tanti anni dopo e su un gommone giallo con la scritta “Vigili del Fuoco”. Adesso siamo noi che dobbiamo portare in salvo. Completare quello che è stato iniziato. Dare un senso a questa domenica qualunque.

“Vito ci sei? Un po’ più a destra… no, no a sinistra, a sinistra!”

“Eccoci… siamo arrivati!”

“Allunga il mezzo marinaio…”

Al nostro arrivo scatta un fragoroso applauso. I miei colleghi sulla riva, senza batter ciglio, portano in salvo i malcapitati. Il personale del 118 provvede a coprirli e a metterli a loro agio. In tutta la valle i mormorii cessano per lasciare spazio agli applausi e alle canzoni sui pompieri. Il Sesia con i suoi tanti segreti, oggi, ci ha permesso di fare il nostro lavoro. Ancora sul gommone, ripenso a mio padre. Davanti a me Vito penso che faccia lo stesso… non so se lui e suo padre siano mai andati a pescare, ma sono certo che questa avventura li abbia messi in collegamento. Lo capisco dal suo sorriso. Diverso. Sincero. Innamorato.

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Ore indecifrate di una tarda serata. E’ sempre domenica… ma una domenica incancellabile. Il cielo è blu, la luna e le stelle ci salutano da lontano. Stiamo rientrando a casa dopo un lungo ed estenuante intervento sul fiume Sesia. Fuori non fa più caldo. Freddo fuori; freddo nei cuori. Davanti a me Vito, alla guida del camion, guarda con aria assorta la strada. Nella cabina del mezzo non c’è più spazio per la parola. Stiamo tutti in silenzio. Fra poco torneremo dalle nostre famiglie. I nostri segreti, però, rimarranno tali. Per un pompiere è difficile aprirsi raccontando tutta la verità ai propri cari. Alcune emozioni, immagini, suoni, odori rimangono seppelliti per sempre dentro di noi. Proprio come questa domenica qualunque che senza saperlo si è trasformata in qualcosa di indelebile. All'improvviso mi sorge una domanda…

Vi siete mai chiesti cosa può ferire più di ogni cosa un soccorritore?

Nessuna lama, nessun dolore fisico. Niente di tutto ciò! Piuttosto, la conclamata certezza di non esser riusciti a soccorrere chi ne avesse bisogno…

Ebbene sì. Tutta la storia che vi ho raccontato era solo frutto della mia immaginazione. Niente applausi e canzoni; solo assordanti insulti. Nessuna richiesta di aiuto. Niente sorrisi e parole dolci, ma sguardi persi nel vuoto e movimenti lenti, impercettibili. Ogni sforzo profuso non ha portato a nulla: non perché noi non lo volessimo con tutto il cuore, ma perché oramai era troppo tardi! Ci siamo limitati a restituire un corpo senza vita. Un compito ingrato – che fa parte del nostro mestiere –, ma che ci lascia l’amaro in bocca. Il fiume Sesia, custode di memorie e di vite comuni, da oggi ne possiede un’altra. Noi soccorritori, servi di Dio, lottiamo ogni giorno per mantenere la stabilità nell'universo, ma quando lo stesso Dio reclama i suoi figli, noi possiamo solo che obbedire.

Oggi è ancora domenica… domani è un altro giorno.